Questo post è nato da un commento ad un post di Asa Ashel nel suo F R A M M E N T I , che a sua volta è nato da qusto, di Gan su nonsosescendo (come in una sponatena catena di S.Antonio)…
Il commento era diventato troppo lungo, così lì comincia e qui finisce…
Mamma e papà portavano tutta la famiglia “a fare un giro dai morti”:
Si incominciava dal nonno materno, l’unico parente prossimo deceduto a quei tempi (io non l’ho mai conosciuto), che sta, ora in compagnia della nonna Rita, in un cimitero poco distante da casa.
Poi con tutto il carrozzone di zii e cugine paterne ci si spostava in collina, tra Farra di Soligo e Col San Martino, patria del Prosecco e paese natio di papà e nonno. In fondo a me bambina piacevano abbastanza questi ritrovi, ero la più piccola di tutto il parentado, che si componeva anche di bis-cugini e prozie, e quindi la cocca, coccolata e vezzeggiata: sprofondare nelle pellicce delle prozie (reperti storici e unici, estratti dalla naftalina solo in occasioni di questi ritrovi) a scaldarmi il nasino mi piaceva assai.
Anche io però ad un certo punto mi staccavo dal circo parentale e chiedendo un paio di fiori al mazzo destinato ai parenti, andavo nel settore dei bimbi e regalavo loro qualche corolla,
mi facevano tanta tristezza quelle lapidi ingrigite, le foto impresse sulla porcellana oramai semi sbiadite, croci e angioli sbilenchi pronti ad abbattersi anch’essi su quelle giovani vite.
Raggiungevo poi la lapide del fidanzato partigiano della “zia Gigietta”, rimasta nubile da allora, a farmi stringere dalla sua manina secca secca e fragile, guardandole gli occhi blu che ancora si inumidivano al ricordo della sua giovinezza spezzata.
Lui venne ucciso in un aguato dai “todeschi”, venduto assieme al padre e a molti altri da un loro compagno di resistenza. La storia che mi veniva raccontata da bambina si concludeva con un macabro carosello, i cadaveri straziati ammassati su un carro e portati in giro per tutti i paesini come monito, la povera zia che piangente si gettava ai piedi degli assassini e come un’eroina da romanzo otteneva i corpi di fidanzato e mancato suocero per dar loro degna sepoltura.
Ancora oggi non so se questo finale vagamente conslatorio fosse offerto al mio cuore di bimba per non appesantirlo troppo, certo è che la voglia di amare della zia rimase su quel carro, assieme al fidanzato.
Poi per dimenticare tutte le amarezze e i ricordi si finiva tutti a bere prosecchino e mangiare caldarroste dallo zio Checchino, che con la sua voce da tenore e la sua verve mai spenta intonava arie d’opera, facendosi accompagnare dalla sorella zia Birì, sopranino e unico emigrante ilustre della famiglia.