Riviera Ferita

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Ieri siamo andati a trovare i miei suoceri, che abitano a Mira, riviera del Brenta, sfiorati dal tornado che ha squassato questa magica zona del veneziano, con le sue ville, i suoi alberi secolari, la placidità del Naviglio che dà il ritmo alle cose.

Sono passati quasi 20 giorni da quel giorno, non eravamo mai passati, anche per non intralciare, per non ficcanasare, per non camminare su una ferita ancora fresca.

Eravamo con la nostra Lambretta, baciati dal sole, la giornata era splendida e un vento grazioso ci rinfrescava le braccia.

Girato l’angolo della strada siamo stati investiti da uno schiaffo, un gemito è sfuggito dai nostri polmoni, l’angoscia ci ha per un attimo storditi… L’impressione che lascia la scia di un tornado è sconvolgente. Avevo letto articoli, guardato mille foto e tanti video, pensavo di essere preparata, di aver capito.

E invece no, siamo come foglioline posate sul terreno.

La foto non è mia, ma del bravissimo Dario Rigoni.

 

 


Quanta strada ancora da fare…

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Assolti da stupro di gruppo: “Fu un momento di debolezza della ragazza”

Vi esorto a leggere l’articolo in cui sono riportate le motivazioni della sentenza

e poi vi invito a leggere la lettera che la vittima di questa vicenda ha scritto al blog “Al di là del Buco“,

ve ne riporto uno stralcio:

Ogni maledetta volta dopo aver lavorato su me stessa, cercato di elaborare il trauma, espulso da me i sensi di colpa introiettati, il fatto di sentirmi sbagliata, sporca, colpevole. Dopo aver cercato di trasformare il dolore, la paura, il pianto in forza, in arte, ecco un altro articolo che parla di me. E io mi ritrovo catapultata di nuovo in quella strada, nel centro antiviolenza, nell‘aula di tribunale. Tutto questo mi sembra surreale come un supplizio di Tantalo.
La memoria é una brutta bestia. Nel corso degli anni si dimenticano magari frasi, l’ordine del prima e dopo, ma il corpo sa tutto. Le sensazioni, il dolore fisico, il mal di stomaco, la voglia di vomitare, non si dimentica.

Essere vittima di violenza e denunciarla é un’arma a doppio taglio: verrai creduta solo e fin tanto che ti mostrerai distrutta, senza speranza, finché ti chiuderai in casa buttando la chiave dalla finestra, come una moderna Raperonzolo. Ma se mai proverai a cercare di uscirne, a cercare, pian piano di riprendere la tua vita, ti sarà detto “ah ma vedi, non ti é mica successo nulla, se fossi stata veramente vittima non lo faresti”. Così può succedere quindi che in sede di processo qualcuno tiri fuori una fotografia ricavata dai social network in cui, a distanza di tre anni dall’accaduto, sei con degli amici, sorridi e non hai il solito muso lungo, prova lampante che non é stato un delitto così grave. Fondamentale, ovviamente.

fonte: #Firenze: Fortezza significa forza. Adesso non più!

A me questa Italia fa paura e rabbia…

Dovremmo essere libere di essere, di scegliere, di desiderare e in apparenza lo siamo, ma il sottofondo della nostra società rimane oscuro, retrogrado, legato mani e piedi ad una logica talebana, che colpevolizza le donne: provochiamo, ce la cerchiamo, non sappiamo tenere chiuse le gambe, andiamo di notte in giro da sole, portiamo le gonne così corte e rossetti così accesi e capelli così lunghi… Portatrici del peccato originale.

Ci sono tanti uomini e tante donne autenticamente “liberati” e liberi da questi condizionamenti ancestrali, ma se non affronteremo radicalmente la questione educativa, troppe Fortezze da Basso, troppe Franca Viola, troppe ferite si apriranno ancora sul corpo delle donne (e degli uomini!)…